domenica 9 dicembre 2007

"NELLA VALLE DI ELAH", NELLA NOTTE DELL'AMERICA

Il sole dell’Iraq brucia, acceca, scioglie i circuiti di senso, come se fossero plastica.
Anche il telefono di un marine impegnato nell’operazione “Tempesta nel Deserto” rischia di fondersi, immerso in quel calore che fa colare i pensieri.
Ma quel telefono diventa l’unico filo conduttore con il passato, quando il soldato misteriosamente scompare.
È suo padre, reduce dal Vietnam, a mettersi sulle tracce del marine, e a consegnare il telefono ad un hacker, perché ne estragga il contenuto.
Figura marginale ma carica di significato, quella dell’hacker: il pirata informatico come soggetto eversivo cerca di non farsi travolgere dall’anestetizzante flusso di dati che il sistema mass mediatico ci scarica addosso, per cercare invece di portare a galla le menzogne, il non detto, ciò che viene tenuto nascosto. Una metafora del cinema?
Dal telefono vengono estratti alcuni frammenti di video. La definizione delle immagini è molto bassa, la visione è disturbata da pixel che ne bloccano la fluidità. Ma ciò che si intuisce da quegli scattanti fotogrammi fa accapponare la pelle.
Brividi.
Non c’è scampo, non c’è salvezza, di fronte all’orrore.
Il virus della follia che distrugge la razionalità e trasforma in criminali annebbia le menti, macchia di sangue l’innocenza perduta.
E anche Mike, il giovane e tranquillo soldato, diventa un mostro in stile boia di Abu Ghraib.
In uno dei filmati frammentati estratti dal cellulare, Mike sta torturando un prigioniero, infilando la mano nelle sue ferite. E, di fronte all’inutile dolore che infligge, ride. Recita. Come se fosse su un palcoscenico. Come se, inscenando una rappresentazione, gli effetti non potessero essere poi così reali, carnali, terribili. La finzione scivola nella realtà, in una contaminazione reciproca che fa perdere il senso della distanza.
Altra scena, altre immagini rubate al deserto. Mike spinge sull’acceleratore, invece di frenare di fronte ad un ostacolo improvviso. Fino all’impatto. Cos’era? Un animale? Oppure un bambino che inseguiva un pallone?
Le immagini della “guerra” contro un nemico invisibile girate dal vivo risultano corrotte. Come i ricordi. Ricordi che diventano sterili e vuoti, nei giovani soldati. Ricordi che, invece di far germogliare una nuova coscienza critica, trasformano i marines in marionette senza spessore, piatte, disumanizzate: follia criminale senza nessun senso.
Così, al loro ritorno in patria, la violenza che hanno vissuto non si placa, e miete nuove vittime.
Volevano esportare la democrazia attraverso la guerra, e non solo hanno fallito, ma hanno addirittura riportato la guerra dentro i propri confini.
Perché non ci sono più linee di confine, nella guerra invisibile.
Come una nube tossica che si espande nell’aria, l’orrore di una violenza automatica e priva di riflessioni ontologiche ammorba anche quelli che tradizionalmente si ritengono i “buoni”, quelli che combattono in nome di grandi ideali.
Nella valle di Elah è un film che, oscillando tra detective story e presa di coscienza politica, scava nell’anima di un’America costretta a fare i conti con le conseguenze dei propri irresponsabili gesti. Una narrazione lucida e profonda. Un viaggio interiore compiuto attraverso gli occhi del protagonista, un rugoso Tommy Lee Jones, che vede crollare inesorabilmente i valori in cui credeva, come fragili castelli costruiti in riva all’oceano, destinati ad essere spazzati via dalla furia della tempesta arrivata dal deserto.
Cosa gli resta da fare, allora, se non mettere da parte l’orgoglio, e umilmente issare la bandiera americana al contrario?
Perché quella bandiera finale che sventola rovesciata altro non è, nel linguaggio militare, che una richiesta di aiuto. Medicine, provviste alimentari e indumenti in questo caso non fanno parte dell’aiuto umanitario richiesto: servono piuttosto storie, significati e valori nuovi, per aiutare un mondo intero a ritrovare in se stesso un senso profondo e costruttivo.
Un compito per noi, piccole farfalle meccaniche.
Ognuno può, nel suo piccolo, dipingere nuovi cieli in cui poter volare.
Cieli che finalmente profumino d’amore.



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