- Chissà cosa
stava scrivendo quella donna.
- Già. Chissà.
- Non gliel’hai
chiesto?
- No, no.
- Non eri curioso?
- Certo, certo. Ma
non era il contenuto che mi interessava. Era il gesto.
- Secondo te cosa
stava scrivendo?
- Non lo so, ma… stava
scrivendo. Avrebbe potuto scrivere qualsiasi cosa. Era lì, ma era come se fosse
anche da un’altra parte. La radio trasmetteva canzoni, e le altre persone
chiacchieravano, ridevano, vivevano. Lei era lì, concentrata nel suo silenzio:
e in quel piccolo gesto trovava tutto ciò di cui aveva bisogno, in quel
momento.
- Mi piace.
- Cosa ti piace?
- Questa foto. Le
emozioni che mi trasmette. Il bianco e nero.
- Ti affascina il
bianco e nero?
- Sì, molto. Sai
cosa penso? Che mi piacerebbe poter guardare il mondo in bianco e nero, qualche
volta…
- Eh, ma non si
può, cara mia…
- Peccato. Sarebbe
più poetico.
Martina era arrivata al paesino quello
stesso giorno, nel primo pomeriggio.
Il nonno l’aspettava seduto su una
panchina, vicino alla fontana della piazza. L’aveva riconosciuta subito, appena
scesa dall’autobus, anche se non la vedeva da parecchi mesi: Martina si portava
sempre addosso l’energia sognante dei suoi diciassette anni, e nei suoi occhi
brillava il desiderio di assaporare il mondo. Gli era subito corsa incontro, e
l’aveva abbracciato forte, senza neanche togliersi gli auricolari. “Chissà che
musica ascolta tutto il tempo”, pensò il nonno.
Camminando insieme verso casa, a passo
lento, il vecchietto sentì dentro un’emozione che non provava da tempo, come un
lampo di felicità. Era davvero contento che lei avesse accettato l’invito. Perché
quella seguente – ne era sicuro – sarebbe stata un’alba speciale.
- Ma perché poi hai smesso? Di fare le
foto, voglio dire.
- È una storia lunga, piccola.
- Io non ho fretta.
- Diciamo che ho smesso perché ho
trovato la luce giusta.
- …
- La luce giusta per vivere, capisci?
Martina guarda il nonno. Ci pensa. Poi
scuote la testa.
- Nelle fotografie che scattavo cercavo sempre l’inquadratura giusta, ma soprattutto la luce. Non mi importava se stavo fotografando una persona, o un gatto, o una montagna: l’importante era che ci fosse la luce giusta. Lo facevo così, d’istinto, senza pensarci. E mi sentivo felice solo quando, in camera oscura, saltava fuori una foto bella. Così poi ho capito. Ho capito che era quello che dovevo fare nella mia vita: trovare la luce giusta, e viverci dentro.
- Nelle fotografie che scattavo cercavo sempre l’inquadratura giusta, ma soprattutto la luce. Non mi importava se stavo fotografando una persona, o un gatto, o una montagna: l’importante era che ci fosse la luce giusta. Lo facevo così, d’istinto, senza pensarci. E mi sentivo felice solo quando, in camera oscura, saltava fuori una foto bella. Così poi ho capito. Ho capito che era quello che dovevo fare nella mia vita: trovare la luce giusta, e viverci dentro.
- E l’hai trovata?
- Ci ho messo un po’, ma… sì, credo di
averla trovata. L’ho abitata per un po’. Quella luce, quell’atmosfera… e tua
nonna.
- E se l’è portata via nonna quella
luce?
- Beh, in un certo senso. Non è più la
stessa luce, senza di lei. Ma almeno so che c’è stata.
Il caffè gorgoglia nella moka.
Il nonno lo versa nella tazza. Due
cucchiaini di zucchero, giusto per non far arrabbiare il dottore.
Sul tavolo della cucina Martina ha lasciato il
lettore mp3. “Strano – pensa il nonno -. Dopo le chiedo di farmi ascoltare una
delle sue canzoni”.
Fuori dalla finestra il cielo del
tramonto si colora di arancio.
Il nonno sorseggia lentamente il caffè.
Martina è seduta ai piedi del ciliegio,
in fondo al giardino. È lo stesso albero al cui ramo aveva appeso un’altalena
per farla divertire quando, da piccola, veniva a trovarlo qualche giorno d’estate.
“Tutto si attraversa col tempo”, pensa
il nonno. “Tempo da vivere, tempo da scegliere, tempo da attraversare, prima
che lui passi su di noi”.
Sorseggia ancora un po’ di caffè.
Lentamente. Lo assapora.
Le rughe vicine agli angoli degli occhi
si bagnano, mentre osserva la sua nipotina, ormai donna, che scrive, seduta
sull’erba sotto il ciliegio.
Tutto mi raggiunge, e sono qua, con la
mia pelle.
Sento il calore del mondo.
Sento il profumo di quest’erba verde.
Mi sento viva.
E scrivo.
Inchiostro nero su fogli bianchi. Per
raccontarmi, ma anche per ascoltarmi.
Voglio scrivere, e vivere queste
emozioni.
E salvarle.
Anche nonno faceva qualcosa di simile,
con le sue fotografie.
Era come se scrivesse con la luce.
“La pellicola – mi ha detto – è come
carta che brucia”.
Io voglio che a bruciare sia la
passione, il desiderio, la voglia di vita.
Voglio scattare tante foto con la luce
giusta,
voglio scrivere
e vivere il mio tempo, le mie emozioni,
e avere tanti ricordi da riguardare,
quando sarò vecchia,
perché vorrà dire che avrò vissuto.
- E tu nonno, in
quale personaggio ti identifichi? A me piace tanto la ragazza che scrive dieto
gli occhiali scuri…
- Io non mi
identifico in nessuno in particolare…
- No? E come mai?
- Di questa foto
mi piace la luce, l’atmosfera, non un personaggio solo. È tutto l’insieme che
mi ha sempre emozionato.
- Il discorso
della luce giusta di prima…
- Sì, ma non solo.
Una foto è un racconto, e un racconto è una storia. E io, mi sento parte di
quella storia. Non sono solo questo o quel personaggio: sono tutti loro, sono
la luce che li illumina, sono le ombre in cui si nascondono, sono gli sguardi
che si scambiano, sono l’atmosfera che si respira, sono le emozioni che mi
porto dentro. Riesci a capire?
- …
- Ora dormi
piccola. Domani ci aspetta l’alba.
Quando stropiccia gli occhi al
risveglio, è ancora buio. Il nonno le ha già preparato la colazione, e la
esorta a far presto: devono mettersi in marcia. Il sentiero per arrivare al laghetto,
ai piedi della collina, è poco illuminato. Ma il nonno lo conosce a memoria, e
lo percorre col suo passo lento ma sicuro.
- Ecco, siamo arrivati. Ora aspettiamo
qui.
L’erba è tutta bagnata di rugiada
primaverile. Le prime pennellate di luce spuntano dall’orizzonte, e in breve
tempo il blu diventa azzurro. I primi raggi di sole baciano la pelle del nonno
e di Martina.
- Tra poco voleranno. Ecco, guarda là!
Come petali di un fiore incantato, le
ali di una farfalla bianca si librano in volo.
- Questa è l’ultima alba delle
crisalidi.
Centinaia di piccole farfalle prendono
il volo, sollevandosi da uno spicchio di terra accanto al lago. Sembra una
soffice tempesta di fiori volanti.
- È una magia!, grida Martina.
Una farfalla fuori rotta li sfiora, con
la sua traiettoria indecifrabile e imprevedibile, incapace di seguire una linea
retta.
Martina stringe la mano rugosa del
nonno. E una nuova giornata inizia.
testo scritto durante l'atelier "Lo scrittoio" condotto da Maria Beltramo
testo scritto durante l'atelier "Lo scrittoio" condotto da Maria Beltramo
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