“Io
spero che esista anche un Dio delle piccole cose
Che
sappia i silenzi mai diventati parole”
(Il
Dio delle piccole cose di Max Gazzé, Gae Capitano)
Focolai
di guerra. Attentati kamikaze, colpi d’arma da fuoco. E sangue.
Scuro. Denso. Innocente. Sangue silenzioso, che non urla vendetta, ma
verità.
Il
31 ottobre 2015 un aereo di linea russo precipita sul Sinai. 224 i
morti. L’IS dichiara immediatamente la propria responsabilità.
43
morti e 239 feriti è il bilancio dell’attentato che devasta il
quartiere sciita di Borj el Barajneh a Beirut, in Libano, il 12
novembre.
Il
giorno successivo una serie di attacchi sconvolge Parigi e porta il
terrore nel cuore romantico dell’Europa: 130 le vittime, di diverse
nazionalità.
Il
20 novembre un commando assalta un hotel di turisti stranieri a
Bamako, capitale del Mali: 21 sono le persone che perdono la vita.
A
Tunisi il 24 novembre una bomba dell’IS fa esplodere il bus della
guardia presidenziale.
Cosa
possiamo fare di fronte all’orrore di questa che è, a tutti gli
effetti, una nuova guerra?
Solo
con un cosciente e personale disarmo interiore possiamo chiedere di
costruire la pace, e cercare qualche barlume di verità.
Perché,
chiaramente, la versione che ci racconta il mainstream
ufficiale non corrisponde alla verità. O, al massimo, ne rappresenta
solo una piccola parte. Ma nascondere significa mistificare,
alterare, disinformare.
Nel
nostro piccolo quotidiano dobbiamo iniziare a dubitare del frame,
della cornice mediatica, della narrazione di cui stiamo diventando
protagonisti nel ruolo di vittime. Per tagliare i fili delle nostre
marionette possiamo cominciare a dubitare. Dobbiamo informarci,
andare a cercare testimonianze, documenti; ascoltare punti di vista,
accoglierli, e confrontarli.
La
nostra salvezza è nella qualità delle domande che ci poniamo. E
questo vale non solo a livello intimo e personale, ma anche a livello
sociale.
Gli
attentati di Parigi ci hanno shockati perché ci fanno capire che la
guerra non è solo nell’Altrove, nel mondo a noi sconosciuto, ma
che dobbiamo combattere in casa nostra, nelle nostre città, in un
ristorante, allo stadio, mentre ascoltiamo un concerto.
Non
è uno scontro di religione, né di civiltà.
Non
è, come molti vorrebbero farci credere, la guerra di profughi e
migranti contro il mondo occidentale.
Davvero
reagire bombardando la Siria, come stanno provando a fare i francesi,
è la soluzione migliore per combattere lo Stato Islamico?
O
forse sarebbe più utile prima cercare di capire come e perché siamo
arrivati a vivere questa situazione?
Sono
tante le variabili in gioco, e non è semplice sbrogliare la matassa.
Ma ci sono delle domande che possono risultare decisive per
comprendere la situazione.
A
chi fanno comodo uno stato di guerra diffusa, un clima di
esasperazione, di odio, di chiusura, e di limitazione delle libertà
personali?
Chi
mantiene l’esercito dell’Is, che può contare su 50-70.000
uomini?
Perché
la Siria è considerata da qualche anno uno Stato pericoloso?
Quali
ragioni spingono gli Stati Uniti d’America e la NATO a sfidare la
Russia?
Io
non sono un esperto di politica internazionale, e non sono nemmeno un
giornalista. Ho semplicemente bisogno di conoscere, di studiare, di
capire. E di condividere ciò che trovo interessante e ciò che
penso.
La
Siria e l’ISIS: documenti e riflessioni
Dal
2012 la Siria sta vivendo una sanguinosa guerra civile, fomentata da
agenti esterni. Tutto è cominciato nel 2011 con la tanto esaltata
Primavera Araba. Da allora Bashar al-Asad, il presidente siriano, si
è trovato a dover fronteggiare un’opposizione interna formata da
diversi gruppi di terroristi, tra cui il Fronte al-Nusra, supportato
da Al Qaeda. Nel 2013 Abu Bakr al-Baghdadi, divenuto nel 2010 capo
dell’ISI (Stato Islamico dell’Iraq, fondato da Abu Ayyub al-Masri
nel 2006 sulle ceneri di AQI, cioè al Qaeda in Iraq), dichiara la
fusione del suo movimento con almeno una frangia di al-Nusra,
sancendo così la nascita dell’ISIL, Stato Islamico dell’Iraq e
del Levante, conosciuto anche come ISIS, Stato Islamico dell’Iraq e
della Siria. il 29 giugno 2014 al-Baghdadi dichiara la nascita di un
califfato mondiale, lo Stato Islamico (IS).
Chi
ha spinto per la creazione di questo movimento, con il fine
originario di creare instabilità in Siria e rovesciare il regime
dell’intransigente presidente siriano Bashar al-Asad? Chi poteva
trarre vantaggio dall’instaurare un governo fantoccio in Siria?
Basta
dare un’occhiata alla cartina geografica per capire come
controllare la Siria possa significare avere uno sbocco sul
Mediterraneo. Invece che circumnavigare la penisola Arabica, il
petrolio proveniente da Iraq e Kuwait potrebbe essere veicolato
attraverso il territorio siriano. E quando si parla di petrolio e
mondo della finanza, come si può non pensare agli interessi del
mondo Occidentale?
Per
abbattere il regime siriano di Assad, l’unico modo era quello di
creare l’ISIS.
E
questo interessante documento (http://www.judicialwatch.org) sembra quasi suggerirlo. Di cosa
si tratta?
E’
un documento desecretato della DIA (Defense Intelligence Agency degli
USA), ovvero di quella sezione del Dipartimento della Difesa
americano che si occupa di analizzare e fornire indicazioni sulle
zone calde del mondo. In queste pagine, scritte il 12 agosto 2012,
quindi prima della nascita dell’ISIS, viene fatta una chiara
analisi delle forze in campo: Salafiti, Fratelli Musulmani e al Qaeda
Iraq sono alla guida dell’insurrezione siriana, allo scopo di
abbattere Assad, scopo condiviso anche dai Paesi Occidentali, dai
Paesi del Golfo e dalla Turchia. Dalla parte di Assad si stagliano
invece le bandiere di Russia, Cina e Iran, tre potenze non da poco.
Nelle pagine del documento della DIA si ipotizza (o si suggerisce?)
la creazione di uno Stato Islamico attraverso la fusione di
organizzazioni terroristiche irachene e siriane: ed è proprio ciò
che è avvenuto.
Questa
foto del 2011 immortala il senatore americano McCain nel corso di un
viaggio in Siria. L’uomo alle sue spalle è proprio al-Baghdadi,
allora capo dell’ISI e oggi Califfo dello Stato Islamico. Alla
destra del senatore, con un’arma in pugno, c’è Khalid al-Hamad,
uno dei combattenti “moderati” sostenuti e riforniti di armi
dall’Occidente in funzione anti Assad: diviene famoso qualche anno
dopo, Khalid al-Hamad, soprannominato teneramente “il mangiatore di
cuori” perché, dopo aver ucciso un nemico, si fa filmare mentre
gli strappa letteralmente il cuore e lo morde. E meno male che è un
ribelle “moderato”.
Nel suo discorso ad Antalya, nel G-20 svoltosi proprio in questi giorni, il presidente russo Vladimir Putin ha sostenuto la tesi che l’IS abbia ricevuto soldi da ben 40 Paesi. “E qualcuno è seduto anche a questo tavolo”, ha aggiunto. A chi si riferiva? Alla Turchia, chiaramente. Qualche giorno dopo, il 24 novembre 2015, il bombardiere russo Sukhoi Su-24 è stato abbattuto da un F-16 turco con l’accusa di aver violato per 17 secondi lo spazio aereo della Nato. E’ stata chiaramente una provocazione verso la Russia, che da quasi due mesi è stata chiamata in causa dal governo siriano e che sta regolarmente cercando di sconfiggere i terroristi, colpendo dall’alto postazioni e depositi di armi. Putin, ancora una volta, ha saputo però mantenere i nervi saldi, senza reagire con violenza alla violenza. D’altra parte il disegno di costruire una forte alleanza anti-russa è evidentissimo, nella politica internazionale americana e in quella della Nato, ma finora il progetto è stato fallimentare: Putin ha accettato le sanzioni economiche, si è visto accusato più volte di crimini mai commessi, ha combattuto una sanguinosa guerra in Ucraina, il cui governo fantoccio di matrice nazista ha accettato di trasformare il Paese in un altro avamposto della Nato. Già nel settembre del 2013 Putin aveva evitato diplomaticamente che gli Stati Uniti e l’Unione Europea scatenassero una guerra in Siria, accusata di aver usato armi chimiche a Damasco. Anche nella situazione odierna Putin e la sua Russia stanno dimostrando un notevole sangue freddo, rappresentando concretamente una vera e propria forza di pace.
I
Paesi europei si stanno rendendo conto di aver sbagliato ad
appoggiare gli USA nella questione Ucraina, e non vogliono commettere
gli stessi errori. Il timido riavvicinamento tra Germania, Francia e
Russia mette perciò in ulteriore difficoltà il sogno (l’utopia)
di dominio degli Stati Uniti. Il quasi segreto Trattato
Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP), di cui si
trovano pochissime notizie solo sul web, è in corso di negoziato tra
l’Unione Europea e gli Stati Uniti: se fosse ratificato
ufficialmente trasformerebbe definitivamente l’Europa in una
colonia americana, vincolando il mercato europeo a quello
d’oltreoceano, e portando alla depressione della domanda interna e
alla diminuzione del PIL europeo. Sembra un po’ il colpo di coda
dello scorpione, che prima di morire vuole iniettare in una preda il
suo veleno.
Cosa
possiamo fare noi, nelle nostre piccole e fragili vite, per fermare
la follia di chi fa girare il mondo sopra di noi?
Il
primo passo è sicuramente la presa di coscienza.
Il
secondo è far sentire la nostra voce. Chiedendo di uscire dalla
Nato, per esempio. Opponendosi alla vendita di armi delle industrie
del nostro Paese (Finmeccanica è al nono posto nella lista dei più
grandi venditori mondiali di armi, e uno dei clienti principali è
proprio l’Arabia Saudita, che a sua volta finanzia e arma
l’Esercito Islamico).
Traducendo
in azioni quotidiane i valori della pace, del confronto, del dialogo,
del rispetto.
E
cercando di attivare il pensiero, di comunicare con le persone a noi
vicine, per cercare di andare insieme dentro le problematiche
importanti del nostro tempo, per consentire ai nostri sguardi di
penetrare sotto la superficie delle immagini che il mainstream
ci dà in pasto.
Gli
attentati di Parigi, a differenza di quelli silenziosi di Beirut o di
Bamako, hanno suscitato una grande ondata di commozione. Ma la
maggior parte dei media ha preferito evitare le domande più scomode,
accontentandosi della versione ufficiale, e costruendo una linea
narrativa risultante da una stratificazione di omissioni e menzogne.
Perché
dall’11 settembre in poi ogni volta che devono compiere un
attentato i terroristi portano con sé un passaporto, che rimane
misteriosamente sempre intatto nonostante magari loro si facciano
esplodere? Il giorno dopo la tragedia di Parigi, è stato ritrovato
il documento di uno degli attentatori: siriano, guarda caso.
E
perché nessuno ci ha detto che anche stavolta, come già a New York
nel 2001 o a Londra nel 2005, era in corso proprio quel giorno
un’esercitazione militare?
Perché
nessuno ci racconta che l’inchiesta sull’attentato di gennaio
alla redazione di Charlie Hebdo è stata interrotta invocando il
segreto militare? Quando si copre qualcosa che riguarda l’interesse
nazionale, significa che si stanno coprendo delle responsabilità:
francesi, in questo caso.
E’
molto facile scagliarsi contro i responsabili diretti delle stragi.
Ma
probabilmente nemmeno gli stessi kamikaze, completamente
lobotomizzati dalla propaganda che subiscono per compiere azioni
criminali del genere, sono coscienti di chi siano i veri mandanti del
terrore, abilissimi nel confezionare False Flag Operations.
Un
mondo incerto, diffidente, buio, in cui gli Stati si fanno la guerra
gli uni con gli altri, a chi può piacere o fare comodo? Non
sicuramente ai normali cittadini.
Dopo
gli attentati di Parigi, i dieci più grandi produttori di armi su
scala mondiale hanno guadagnato sul mercato azionario ben
12.925.000.000 di euro (fonte: byoblu.com):
Lockheed
Martin: + 3,78%
Boeing:
+ 3,55%
Northrop
Grumman: + 4,74%
General
Dynamics: + 1,6%
BAE
Systems: + 2,8%
Finmeccanica:
+ 8,2%
Thales:
+ 5,32%
L’unica
risposta che possiamo dare, nel nostro piccolo, è il disarmo.
Dobbiamo
mettere via le armi - l’intolleranza, l’ignoranza, l’ottusità
- per costruire nel nostro presente relazioni contagiose di pace.
Perché
fino a quando ci saranno bambini, come quelli siriani di questo
video, che vivono sotto le bombe, non ci sarà davvero pace per
nessuno.
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