martedì 31 agosto 2010

L'ISOLA DELLA VIOLENZA INVISIBILE



Madri che uccidono la propria carne.

Uomini che ammazzano l'amore.

Piromani che danno fuoco alle coscienze.

In che regione dell'anima nascono e vengono a galla gli atti di violenza? Sono esplosioni isolate, deflagrazioni dell'essere che interrompono uno stato di "pace", oppure sono il frutto maturo di un albero che cerca di mimetizzare le radici nell'invisibilità?

"É necessario - scrive il dirompente filosofo Slavoj Žižek - che percepiamo i contorni dello sfondo che genera quegli scoppi".

E lo sfondo non è un idilliaco quadretto romantico, ma un mondo costruito su una violenza talmente pervasiva e radicata "che nutre i nostri stessi sforzi di combatterla". La violenza "soggettiva", quella che implica chiaramente un soggetto che la compie, non è che la punta di un iceberg che nasconde altri due tipi di violenza: quella "simbolica" insita nel linguaggio, nel semplice atto di un'enunciazione; e quella "sistemica", vero e proprio elemento costitutivo del nostro modello politico, economico, sociale. E culturale.

Si possono applicare queste categorie di pensiero ad un prodotto culturale, come ad esempio un film?

La riflessione visiva sulla violenza è uno dei punti fermi della cinematografia di Martin Scorsese. Ambientato nelle stanze cupe di un penitenziario specializzato nella cura di criminali malati di mente, Shutter Island è uno psico-thriller nel cui intreccio i tre ordini di violenza si fondono in maniera lampante, quasi didascalica.

Nello stesso tempo carnefice e vittima, assassino e assassinato, il protagonista - un detective ossessionato dai fantasmi del passato - crea una dimensione alternativa della realtà come rifugio per la sua stessa sopravvivenza. In una spirale che fa vorticare suggestioni e ricordi, frullandoli con visioni, incubi e angosce, trincerarsi dietro una follia paranoica sembra l'unica salvezza.

Ma i fantasmi sono causa o conseguenza della follia? Un ufficiale nazista da ammazzare, una moglie da salvare... una bambina da proteggere... chi assicura che siano ricordi puri, autentici? Esistono ricordi veri, oppure tutto viene filtrato dagli occhi della mente, che proprio come un otturatore - uno shutter - lasciano passare soltanto la luce che vogliono, fino a cambiare i colori e i contorni della realtà?

...Forse i fantasmi non sono altro che i ricordi sospesi in un limbo tra passato e presente, che ci implorano di essere lasciati liberi di volare via... E allora diventano presenze vive, immagini concrete, visioni interattive.

Nel gigantesco gioco di ruolo in cui il protagonista di Shutter Island annega, tutto è simulato: immagini e ricordi sono guidati, condivisi, indotti. É un gioco di ripetizione e di rifacimento, una messa in scena psicologica organizzata per scopi curativi, "umanitari": non esiste più una realtà "oggettiva" per il detective, il quale ha soltanto la possibilità di rivivere ciò che ha vissuto, per poter finalmente accettare il passato e far volare lontano i fantasmi.

Ma è proprio qui, in questo intreccio e svelamento di violenze "simbolica" e "sistemica", che Shutter Island si incrina e si corrode nelle sfumature che sono la sua stessa essenza.

Un po' come succedeva in The Aviator, dove dell'epopea del magnate Howard Hughes veniva raccontato tutto, tralasciando il piccolo insignificante particolare delle sue simpatie di destra.

Leggere la storia del detective Teddy Daniels all'interno della cornice del testo filmico può aiutare a cogliere la violenza "simbolica" del linguaggio cinematografico scelto da Scorsese, che sembra voler giocare con l'intuito creativo dello spettatore, salvo poi spingerlo nella strettoia di un'interpretazione obbligata che non lascia spazio alla fantasia. Ma è soprattutto la violenza "sistemica", più viscida e pericolosa, ad inquietare: perché, se nel gioco di simulazione e dissimulazione che regge il microcosmo di Shutter Island, anche i sospetti e i crimini più atroci (come la sperimentazione su cavie umane) vengono ridotti a semplice invenzione di una mente malata, cosa ne è dei flashback riguardanti la Storia, il mondo politico, gli stermini del nazismo? Sono appigli reali, con un referente concreto, oppure rielaborazioni fantasiose di una mente persa tra i fantasmi della ragione? Se così fosse, la costruzione di una macchina narrativa così subdola da far passare quasi inosservata una velleità di negazionismo risulterebbe una raffinata quanto insidiosa forma di violenza "soggettiva".





1 commento:

fabio ha detto...

Che dire. Come ti avevo accennato l'altra volta, non mi ero spinto così in profondità con l'analisi "negazionista" delle violenze di shutter island. Mi sembra molto ben costruito, soprattutto la presentazione di questo luogo così "monolitico" (inquadrature dal basso, lunghi movimenti di macchina, ecc) e di riflesso l'ambiguità della storia e del protagonista, sospeso tra realtà e finzione, ricordi veri e falsi. La tua analisi è perfetta, ancora però non mi convince questa "malizia" di scorsese che, secondo quello che dici, mette sullo stesso piano i finti ricordi con ipotetiche finte sperimentazioni. Questo è un parallelo che fai tu e che io non vedo poi così esplicito. Certo, se guardi The Aviator e poi Shutter Island capisci che il "fenomeno", chiamiamolo così, del nazismo è qualcosa che a lui interessa molto evidentemente. Io sarei più portato a considerare questo allora: il parallelo è tra la follia tutta umana e "intima" e quella collettiva di un popolo che si è identificato con concetti come razza ariana e sterminio razziale. Ecco allora che le due dimensioni, follia privata e follia di massa, possono essere messe sullo stesso piano.