martedì 1 dicembre 2015

OLTRE IL TERRORE




Io spero che esista anche un Dio delle piccole cose
Che sappia i silenzi mai diventati parole”
(Il Dio delle piccole cose di Max Gazzé, Gae Capitano)


Focolai di guerra. Attentati kamikaze, colpi d’arma da fuoco. E sangue. Scuro. Denso. Innocente. Sangue silenzioso, che non urla vendetta, ma verità.


Il 31 ottobre 2015 un aereo di linea russo precipita sul Sinai. 224 i morti. L’IS dichiara immediatamente la propria responsabilità.
43 morti e 239 feriti è il bilancio dell’attentato che devasta il quartiere sciita di Borj el Barajneh a Beirut, in Libano, il 12 novembre.
Il giorno successivo una serie di attacchi sconvolge Parigi e porta il terrore nel cuore romantico dell’Europa: 130 le vittime, di diverse nazionalità.
Il 20 novembre un commando assalta un hotel di turisti stranieri a Bamako, capitale del Mali: 21 sono le persone che perdono la vita.
A Tunisi il 24 novembre una bomba dell’IS fa esplodere il bus della guardia presidenziale.


Cosa possiamo fare di fronte all’orrore di questa che è, a tutti gli effetti, una nuova guerra?
Solo con un cosciente e personale disarmo interiore possiamo chiedere di costruire la pace, e cercare qualche barlume di verità.
Perché, chiaramente, la versione che ci racconta il mainstream ufficiale non corrisponde alla verità. O, al massimo, ne rappresenta solo una piccola parte. Ma nascondere significa mistificare, alterare, disinformare.
Nel nostro piccolo quotidiano dobbiamo iniziare a dubitare del frame, della cornice mediatica, della narrazione di cui stiamo diventando protagonisti nel ruolo di vittime. Per tagliare i fili delle nostre marionette possiamo cominciare a dubitare. Dobbiamo informarci, andare a cercare testimonianze, documenti; ascoltare punti di vista, accoglierli, e confrontarli.
La nostra salvezza è nella qualità delle domande che ci poniamo. E questo vale non solo a livello intimo e personale, ma anche a livello sociale.
Gli attentati di Parigi ci hanno shockati perché ci fanno capire che la guerra non è solo nell’Altrove, nel mondo a noi sconosciuto, ma che dobbiamo combattere in casa nostra, nelle nostre città, in un ristorante, allo stadio, mentre ascoltiamo un concerto.
Non è uno scontro di religione, né di civiltà.
Non è, come molti vorrebbero farci credere, la guerra di profughi e migranti contro il mondo occidentale.
Davvero reagire bombardando la Siria, come stanno provando a fare i francesi, è la soluzione migliore per combattere lo Stato Islamico?
O forse sarebbe più utile prima cercare di capire come e perché siamo arrivati a vivere questa situazione?
Sono tante le variabili in gioco, e non è semplice sbrogliare la matassa. Ma ci sono delle domande che possono risultare decisive per comprendere la situazione.
A chi fanno comodo uno stato di guerra diffusa, un clima di esasperazione, di odio, di chiusura, e di limitazione delle libertà personali?
Chi mantiene l’esercito dell’Is, che può contare su 50-70.000 uomini?
Perché la Siria è considerata da qualche anno uno Stato pericoloso?
Quali ragioni spingono gli Stati Uniti d’America e la NATO a sfidare la Russia?
Io non sono un esperto di politica internazionale, e non sono nemmeno un giornalista. Ho semplicemente bisogno di conoscere, di studiare, di capire. E di condividere ciò che trovo interessante e ciò che penso.



La Siria e l’ISIS: documenti e riflessioni


Dal 2012 la Siria sta vivendo una sanguinosa guerra civile, fomentata da agenti esterni. Tutto è cominciato nel 2011 con la tanto esaltata Primavera Araba. Da allora Bashar al-Asad, il presidente siriano, si è trovato a dover fronteggiare un’opposizione interna formata da diversi gruppi di terroristi, tra cui il Fronte al-Nusra, supportato da Al Qaeda. Nel 2013 Abu Bakr al-Baghdadi, divenuto nel 2010 capo dell’ISI (Stato Islamico dell’Iraq, fondato da Abu Ayyub al-Masri nel 2006 sulle ceneri di AQI, cioè al Qaeda in Iraq), dichiara la fusione del suo movimento con almeno una frangia di al-Nusra, sancendo così la nascita dell’ISIL, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, conosciuto anche come ISIS, Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. il 29 giugno 2014 al-Baghdadi dichiara la nascita di un califfato mondiale, lo Stato Islamico (IS).
Chi ha spinto per la creazione di questo movimento, con il fine originario di creare instabilità in Siria e rovesciare il regime dell’intransigente presidente siriano Bashar al-Asad? Chi poteva trarre vantaggio dall’instaurare un governo fantoccio in Siria?
Basta dare un’occhiata alla cartina geografica per capire come controllare la Siria possa significare avere uno sbocco sul Mediterraneo. Invece che circumnavigare la penisola Arabica, il petrolio proveniente da Iraq e Kuwait potrebbe essere veicolato attraverso il territorio siriano. E quando si parla di petrolio e mondo della finanza, come si può non pensare agli interessi del mondo Occidentale?






Per abbattere il regime siriano di Assad, l’unico modo era quello di creare l’ISIS.
E questo interessante documento (http://www.judicialwatch.org) sembra quasi suggerirlo. Di cosa si tratta?
E’ un documento desecretato della DIA (Defense Intelligence Agency degli USA), ovvero di quella sezione del Dipartimento della Difesa americano che si occupa di analizzare e fornire indicazioni sulle zone calde del mondo. In queste pagine, scritte il 12 agosto 2012, quindi prima della nascita dell’ISIS, viene fatta una chiara analisi delle forze in campo: Salafiti, Fratelli Musulmani e al Qaeda Iraq sono alla guida dell’insurrezione siriana, allo scopo di abbattere Assad, scopo condiviso anche dai Paesi Occidentali, dai Paesi del Golfo e dalla Turchia. Dalla parte di Assad si stagliano invece le bandiere di Russia, Cina e Iran, tre potenze non da poco. Nelle pagine del documento della DIA si ipotizza (o si suggerisce?) la creazione di uno Stato Islamico attraverso la fusione di organizzazioni terroristiche irachene e siriane: ed è proprio ciò che è avvenuto.




Questa foto del 2011 immortala il senatore americano McCain nel corso di un viaggio in Siria. L’uomo alle sue spalle è proprio al-Baghdadi, allora capo dell’ISI e oggi Califfo dello Stato Islamico. Alla destra del senatore, con un’arma in pugno, c’è Khalid al-Hamad, uno dei combattenti “moderati” sostenuti e riforniti di armi dall’Occidente in funzione anti Assad: diviene famoso qualche anno dopo, Khalid al-Hamad, soprannominato teneramente “il mangiatore di cuori” perché, dopo aver ucciso un nemico, si fa filmare mentre gli strappa letteralmente il cuore e lo morde. E meno male che è un ribelle “moderato”.

Le responsabilità dell’Occidente nella creazione dello Stato Islamico sono dunque lampanti, ma non si fermano qui. Chi può infatti sostenere e mantenere un esercito che conta dai 50.000 ai 70.000 uomini? Ci vogliono molti soldi per mantenere attivo un esercito del genere. Un po’ di denaro i combattenti di Daesh lo ricavano da un traffico illegale di petrolio. Il resto arriva da finanziamenti di Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, i cui servizi segreti sono praticamente delle filiali della CIA. Gli Stati Uniti, dunque, sono almeno conniventi. Anche Israele, che con la Siria ha ancora in sospeso il contenzioso delle alture del Golan, può avere i suoi interessi nel rovesciare il presidente siriano.


Nel suo discorso ad Antalya, nel G-20 svoltosi proprio in questi giorni, il presidente russo Vladimir Putin ha sostenuto la tesi che l’IS abbia ricevuto soldi da ben 40 Paesi. “E qualcuno è seduto anche a questo tavolo”, ha aggiunto. A chi si riferiva? Alla Turchia, chiaramente. Qualche giorno dopo, il 24 novembre 2015, il bombardiere russo Sukhoi Su-24 è stato abbattuto da un F-16 turco con l’accusa di aver violato per 17 secondi lo spazio aereo della Nato. E’ stata chiaramente una provocazione verso la Russia, che da quasi due mesi è stata chiamata in causa dal governo siriano e che sta regolarmente cercando di sconfiggere i terroristi, colpendo dall’alto postazioni e depositi di armi. Putin, ancora una volta, ha saputo però mantenere i nervi saldi, senza reagire con violenza alla violenza. D’altra parte il disegno di costruire una forte alleanza anti-russa è evidentissimo, nella politica internazionale americana e in quella della Nato, ma finora il progetto è stato fallimentare: Putin ha accettato le sanzioni economiche, si è visto accusato più volte di crimini mai commessi, ha combattuto una sanguinosa guerra in Ucraina, il cui governo fantoccio di matrice nazista ha accettato di trasformare il Paese in un altro avamposto della Nato. Già nel settembre del 2013 Putin aveva evitato diplomaticamente che gli Stati Uniti e l’Unione Europea scatenassero una guerra in Siria, accusata di aver usato armi chimiche a Damasco. Anche nella situazione odierna Putin e la sua Russia stanno dimostrando un notevole sangue freddo, rappresentando concretamente una vera e propria forza di pace.


I Paesi europei si stanno rendendo conto di aver sbagliato ad appoggiare gli USA nella questione Ucraina, e non vogliono commettere gli stessi errori. Il timido riavvicinamento tra Germania, Francia e Russia mette perciò in ulteriore difficoltà il sogno (l’utopia) di dominio degli Stati Uniti. Il quasi segreto Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP), di cui si trovano pochissime notizie solo sul web, è in corso di negoziato tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti: se fosse ratificato ufficialmente trasformerebbe definitivamente l’Europa in una colonia americana, vincolando il mercato europeo a quello d’oltreoceano, e portando alla depressione della domanda interna e alla diminuzione del PIL europeo. Sembra un po’ il colpo di coda dello scorpione, che prima di morire vuole iniettare in una preda il suo veleno.


Cosa possiamo fare noi, nelle nostre piccole e fragili vite, per fermare la follia di chi fa girare il mondo sopra di noi?
Il primo passo è sicuramente la presa di coscienza.
Il secondo è far sentire la nostra voce. Chiedendo di uscire dalla Nato, per esempio. Opponendosi alla vendita di armi delle industrie del nostro Paese (Finmeccanica è al nono posto nella lista dei più grandi venditori mondiali di armi, e uno dei clienti principali è proprio l’Arabia Saudita, che a sua volta finanzia e arma l’Esercito Islamico).
Traducendo in azioni quotidiane i valori della pace, del confronto, del dialogo, del rispetto.
E cercando di attivare il pensiero, di comunicare con le persone a noi vicine, per cercare di andare insieme dentro le problematiche importanti del nostro tempo, per consentire ai nostri sguardi di penetrare sotto la superficie delle immagini che il mainstream ci dà in pasto.
Gli attentati di Parigi, a differenza di quelli silenziosi di Beirut o di Bamako, hanno suscitato una grande ondata di commozione. Ma la maggior parte dei media ha preferito evitare le domande più scomode, accontentandosi della versione ufficiale, e costruendo una linea narrativa risultante da una stratificazione di omissioni e menzogne.
Perché dall’11 settembre in poi ogni volta che devono compiere un attentato i terroristi portano con sé un passaporto, che rimane misteriosamente sempre intatto nonostante magari loro si facciano esplodere? Il giorno dopo la tragedia di Parigi, è stato ritrovato il documento di uno degli attentatori: siriano, guarda caso.
E perché nessuno ci ha detto che anche stavolta, come già a New York nel 2001 o a Londra nel 2005, era in corso proprio quel giorno un’esercitazione militare?
Perché nessuno ci racconta che l’inchiesta sull’attentato di gennaio alla redazione di Charlie Hebdo è stata interrotta invocando il segreto militare? Quando si copre qualcosa che riguarda l’interesse nazionale, significa che si stanno coprendo delle responsabilità: francesi, in questo caso.
E’ molto facile scagliarsi contro i responsabili diretti delle stragi.
Ma probabilmente nemmeno gli stessi kamikaze, completamente lobotomizzati dalla propaganda che subiscono per compiere azioni criminali del genere, sono coscienti di chi siano i veri mandanti del terrore, abilissimi nel confezionare False Flag Operations.
Un mondo incerto, diffidente, buio, in cui gli Stati si fanno la guerra gli uni con gli altri, a chi può piacere o fare comodo? Non sicuramente ai normali cittadini.
Dopo gli attentati di Parigi, i dieci più grandi produttori di armi su scala mondiale hanno guadagnato sul mercato azionario ben 12.925.000.000 di euro (fonte: byoblu.com):


Lockheed Martin: + 3,78%
Boeing: + 3,55%
Northrop Grumman: + 4,74%
General Dynamics: + 1,6%
BAE Systems: + 2,8%
Finmeccanica: + 8,2%
Thales: + 5,32%


L’unica risposta che possiamo dare, nel nostro piccolo, è il disarmo.
Dobbiamo mettere via le armi - l’intolleranza, l’ignoranza, l’ottusità - per costruire nel nostro presente relazioni contagiose di pace.
Perché fino a quando ci saranno bambini, come quelli siriani di questo video, che vivono sotto le bombe, non ci sarà davvero pace per nessuno.