sabato 30 giugno 2012

SULLE STRADE DELLA COLPA




E' come una lenta processione: tre auto che scivolano sulle colline dell'Anatolia.
La notte è squarciata dai fari, scie di luce calda che accarezzano i profili delle colline e scandagliano le strade deserte.
Un uomo, in manette, chiude gli occhi. Vorrebbe solo dormire.
E invece ha promesso agli investigatori di indicare il luogo in cui avrebbe sepolto il cadavere del suo amico.
Il sonno e la colpa appannano gli occhi, offuscano i ricordi.
Le campagne si assomigliano tutte.
E l'uomo non riesce - o non vuole - ricordare.
C'era una volta in Anatolia è cinema puro, essenziale. Cinema fatto di luci che illuminano con dolcezza la notte, di vento che fa danzare le foglie, di cieli carichi di fulmini e poesia. Il film di Nuri Blige Ceylan è un viaggio nell'anima, in un paesaggio interiore notturno e malinconico, dove si è soli con i propri mostri.
Tre macchine. Tre atti. E tre personaggi cardine: il commissario, il procuratore, il medico.
Tutti maschi.
Le donne sono voci metalliche al telefono, sono ombre del passato, sono ricordi struggenti. Sono gli occhi dignitosi e forti di una vedova. Sono la bellezza angelica di un'adolescente capace di illuminare il buio con una candela.
Le donne sono l'energia generatrice, sono la vita che sopravvive alla morte.
…C'era una volta una donna, di una bellezza inaudita, che aveva previsto con mesi di anticipo il giorno della propria inspiegabile morte. "Infarto", aveva decretato il dottore di turno. Ma come può una donna conoscere la propria fine? Una carezza al bimbo appena partorito, e se n'era volata via. Com'era possibile?
"Dottore, una persona può decidere di suicidarsi per punire un'altra persona?"
"Le donne non perdonano così facilmente, signor procuratore".
Anche gli uomini che accusano per professione, volgendo lo sguardo dentro di sé, non possono che annegare nel mare della colpa: la colpa di non saper amare abbastanza, di non sapersi donare. La colpa di chiudersi a guscio nelle proprie miserie, lasciando scappare i miracoli della vita. La colpa di non trovare le chiavi per diventare dei buoni padri, dei buoni mariti, o semplicemente delle buone persone, vive.
Sui loro visi sono disegnati occhi che trattengono a stento le lacrime.
Le barbe lunghe di giorni, le rughe come cicatrici del tempo. E le macchie sulla pelle, simbolo di decomposizione umana: le facce, le espressioni, i silenzi dicono più di tante parole apparentemente casuali.
Nel dolore di uno sguardo che si rovescia dentro, come una fredda autopsia, è racchiusa però anche la speranza di recuperare la propria umanità, e di salvarne almeno una piccola parte vitale.
Anche la fioca luce di una candela può salvare la notte dal buio.