lunedì 30 maggio 2011

KILLING OSAMA: LA SCENEGGIATURA DELLA MENZOGNA


Un blitz fulmineo, e il mondo si sveglia con un sospiro di sollievo.
Bin Laden è morto.
Bin Laden è stato ammazzato.
Dieci anni di paure vengono vendicati con la morte dello sceicco del terrore.
Se fosse un film d’azione o un thriller, questo sarebbe senz’altro un happy end. Ma si tratta di vita vera. O, perlomeno, dell’esperienza - veicolata e condizionata dai mass media - che ne abbiamo. E, allora, i conti non tornano.
La versione ufficiale è di pubblico dominio: l’incarnazione del Male assoluto, Osama, non si nascondeva in grotte sotterranee o bunker antiatomici. No. Il suo nascondiglio era in una casa con giardino e alte mura, in un quartiere residenziale per militari ad Abbottabad, in Pakistan. È bastato scovarlo, e con un commando fare irruzione e ammazzarlo.
Una scena semplice da immaginare e da vendere: una replica di banali sequenze da action movie. Tant’è che è già stato prodotto un “documentario”, Killing Osama, che avrebbe l’assurda pretesa di raccontare la verità, ricorrendo a delle simulazioni tridimensionali in stile videogioco.
Ma è proprio a questo punto che la sceneggiatura comincia a scappare di mano alla penna degli strateghi e a scricchiolare, fino a crollare completamente, polverizzando ogni certezza.
L’America, in senso esteso, è il sistema culturale che ha prodotto non solo le carceri-lager di Abu Ghraib e Bagram, ma anche la rappresentazione delle violenze subite dai prigionieri, come testimonianza di una presunta superiorità morale e razziale.
Come mai allora non esiste un’immagine del corpo esangue del capo di Al Qaeda?
A sentire i telegiornali, ci sono state furiose riunioni in cui i vertici americani hanno discusso se fosse giusto o meno rendere pubbliche le foto del cadavere di Bin Laden. Alla fine il loro presidente Obama - premio Nobel per la Pace che subito dopo l’uccisione del nemico ha dichiarato “Giustizia è fatta” – ha optato per la non diffusione di quelle atroci immagini. “Troppo impressionanti e disgustose”, affermano.
Ma se quelle immagini non esistessero?
Se perfino il cadavere di Bin Laden non esistesse?
Questo potrebbe spiegare anche la velocità fulminea della sua sepoltura-lampo, avvenuta in mare aperto, senza testimonianze né analisi del DNA. E, per di più, con un procedimento non conforme ai dettami della religione islamica, contrariamente a quanto sostenuto dalle fonti ufficiali americane: un’altra gaffe degli sceneggiatori di questa storia.
Le crepe della sceneggiatura sono così tante e grossolane da rendere palese che molti dettagli della storia sono stati scritti e costruiti per nascondere qualcos’altro.
Forse, semplicemente, il potere americano ha deciso che ormai era giunto il momento di porre fine allo spauracchio del terrorista barbuto, per poter concentrare l’attenzione - e le paure - su un altro fronte emozionale: il focolaio del Mediterraneo, i Paesi nord africani e mediorientali in rivolta. Dove avverrà il prossimo tentativo di esportare la democrazia? In Siria forse? In Libano?
Bin Laden è morto. La sua terrificante icona è stata ammazzata.
Forse il referente reale era morto già da tempo. Ammazzato dai suoi rivali, o deceduto per cause naturali. Magari da qualche anno. Ma l’Occidente aveva bisogno di lui, per tenere alta la tensione, e per incatenare alle paure il popolo suggestionabile.
Stavolta, però, la sceneggiatura della messinscena non regge per niente.
Nonostante le versioni ufficiali e i finti documenti e documentari prodotti, le incongruenze sono così evidenti da non lasciare molti dubbi: la realtà che cercano di spacciarci è una finzione, una griglia costruita a tavolino per ingabbiarci in un’unica visione del mondo. Ma noi ormai questo lo sappiamo, e non lo accettiamo più.