giovedì 31 marzo 2011

SULLE ALI DEL CIGNO NERO



Un brivido si infila sotto la pelle.
Come se il corpo fosse abitato da una creatura misteriosa, che preme, e soffia il suo alito di vento, per lacerare la carne e far spiegare grandi ali nere.

Di che materia siamo fatti? Chi siamo, sotto la superficie che ci connette al mondo?
E dove vanno a finire le emozioni che ci attraversano? Quali mostri abitano i nostri universi di non-detto, di incompiuto, di irrisolto?
Attraverso la messa in scena di un’atmosfera perturbante - un’atmosfera familiare in cui si innesta qualcosa di sconosciuto e pericoloso -, il regista Darren Aronofsky ci fa precipitare in un incubo: Il Cigno Nero è un viaggio negli anfratti più misteriosi della mente, è un thriller psicotico dalle venature horror.
È un film disturbante che toglie il fiato, e fa chiudere gli occhi.

Nina, elegante e algida ballerina, viene scelta come protagonista di una moderna versione dell’opera di Tchaikovsky. Bellissima, spaventata, fragile. Perfetta per interpretare la vittima romanticamente predestinata, il cigno bianco. Ma la danza richiede completezza, autenticità, passione, intensità: dove cercarle per poter affrontare il lato oscuro, il negativo, il cigno nero?
Il tema portante del doppio negativo, dell’alter ego che si fa carico di far esplodere rabbie e frustrazioni accumulate, emerge sia nelle metamorfosi del corpo che nel suo riflesso. E paradossalmente, la dimensione fisica si scatena nitidamente nell’incubo: la ballerina non regge la pressione. La sua ricerca della perfezione si rivela un’illusione, perché non basta l’allenamento estenuante, non basta la precisione tecnica: ciò che conta davvero, per dare corpo e forma ad un’espressione artistica, è la dimensione del sentire. Schiacciata dalle morbose attenzioni di una madre agghiacciante, Nina deve fare i conti con il suo lato oscuro: la sessualità e la sensualità che ha sempre represso sono solo la miccia di una carica pronta a far esplodere le insicurezze, le fragilità, le incongruenze. Tra visioni deformate e percezioni allucinate, la dimensione corporea diventa iper-reale nell’incubo quotidiano di un’esistenza che non riesce più a danzare in bilico tra la realtà e l’immaginario. E così la metamorfosi fisica - che imbruttisce la pelle e spezza le gambe, che fa sanguinare le ferite e che squarcia la schiena - diventa tanto più inquietante e spaventosa quanto più i confini tra percezione soggettiva e realtà fenomenica si squagliano, sciogliendosi in un’identità liquida e multiforme. Un’identità che si ribella anche nei riflessi degli specchi: come nel racconto di Borges, sembra che oltre il vetro palpiti un altro mondo, un’altra creatura che chiede di uscire. Per conficcarsi magari, sotto forma di scheggia, nelle viscere di chi non sa accettare nemmeno le proprie sfumature.
La storia della metamorfosi di Nina nel cigno nero è cruenta e dolorosa, raccontata con struggente intensità e con un linguaggio cinematografico così potente da trascinarci dentro l’abisso delle nostre personali angosce, tra le paure che ci stritolano e le disillusioni con cui cerchiamo di resistere alle macerie che ci rotolano addosso. Per poter conoscere noi stessi e le creature imprigionate nei nostri riflessi. E insieme a loro avere la forza per scrivere un altro finale, e inventare magari un cigno dalle ali bianconere.