martedì 30 novembre 2010

"VEDOZERO": HORROR ANTROPOLOGICO



“…Non tocco mai la gioia… non posso toccare la gioia…”
Un occhio che riempie lo schermo.
Liquido.
E sfocato.
Il linguaggio si frantuma.
Brandelli di comunicazione che palpitano sullo schermo, come barlumi di vita.
Vedozero è il grado zero della visione. È una pagina densa di immagini in movimento.
Il regista Andrea Caccia ha fornito di cellulari con videocamera incorporata 70 suoi allievi del liceo, diciottenni o quasi, con poche direttive: “Raccontatevi, filmatevi, autorappresentatevi”.
Il risultato del montaggio finale degli oltre 4.000 minuti raccolti? Un film poetico e crepuscolare, dove è lo stesso linguaggio a tessere la storia: l’apparente pluralità di sguardi si fonde in una visione che diventa unitaria, amalgamata, abissale.
Ed è una visione amara, che si spalanca sul vuoto.
Non ha intenti sociologici, Vedozero. Ma è quasi un horror antropologico.
Con le potenti e angoscianti musiche elettroniche, che fanno vibrare le immagini traballanti in un’atmosfera ancora più cupa, il linguaggio cinematografico restituisce una profondità che va oltre i singoli frammenti.
Perché, nonostante la soglia dei 18 anni sia teoricamente l’età dei grandi cambiamenti, non emergono chiaramente interessi, domande, paure che abbiano a che fare con il senso della vita, con riflessioni ontologiche, con rabbiose richieste di significati.
Non c’è alcuna bellezza, né gioia che sia possibile toccare.
Se ne può solo intuire il profumo, senza trovare una strada per raggiungerla.
È un panorama desertico, quello che emerge.
Perché la comunicazione viene ridotta a funzione fàtica, di contatto, e non riesce più a far entrare le persone in una reale condivisione che vada oltre lo stare insieme alla perenne ricerca del cazzeggio totale.
Il futuro? Un buco nero, che spaventa, ma che nello stesso tempo viene esorcizzato nella sterile ripetitività dei gesti quotidiani: la routine inghiotte tutto, dalle serate ad ubriacarsi alle cene con i genitori davanti ai quiz show; dallo studio per il 6 scolastico, completamente scollegato da qualsiasi idea di cultura, all’omologazione a mode e linguaggi che non lasciano nulla dentro, se non un vago senso di inadeguatezza, di angoscia.
Non c’è responsabilità, non c’è coscienza. Solo noia.
Come se l’intera generazione fosse stata anestetizzata.
Noia.
Vedozero non cerca colpe, non è il suo compito. Nella giostra della sua struttura così frammentata - in cui la frammentazione non è un processo di sintesi ma il frutto di un “reale” fragile e in frantumi - il film di Andrea Caccia e dei suoi ragazzi ha il pregio di spingere ad interrogarsi, senza fornire facili e scontate risposte.
Perché tanta solitudine, perché tanta noia e superficialità?
“…Non tocco mai la gioia… non posso toccare la gioia…”