lunedì 31 maggio 2010

FANTASMI NEL VENTO



Il vento evoca fantasmi.

Un vento freddo spazza la riva di un'isola quasi deserta: un rifugio dove cercare l'invisibilità.

Ma la verità è in agguato, desidera farsi scoprire e svelare, stanca di nascondersi tra le troppe parole inutili di una biografia falsata.

il ghost writer è un aspirante scrittore chiamato a redigere la complicata biografia di un ex primo ministro: ma la situazione si ingarbuglia quando il politico torna sotto i riflettori dell'opinione pubblica perché accusato di aver autorizzato torture contro presunti terroristi.

L'universo de L'uomo nell'ombra, ultimo thriller di Roman Polanski, è popolato di fantasmi: il ghost writer è un fantasma, e nello stesso tempo uno scrittore di fantasmi.

Le parole sono evanescenti, raccontano senza svelare del tutto, come enigmi da decifrare.

Come un vortice di foglie spazzate via da un vento incessante.

La marea lambisce un cadavere sulla spiaggia. Il potere lavora sotto-traccia, tra le nebbie e la pioggia che flagellano l'isola, per occultare la verità, per debellare la fantasia, per ammutolire chi ha visto.

É così che funziona il potere politico: uno zombie che si nutre di paura e paranoia.

Ma la paranoia si rivela un'arma a doppio taglio, ed esplode in mano a chi le regole le può - o poteva - dettare: genera così una cascata di sospetti, ritorsioni, terrori, violenze.



Il mondo si può governare attraverso la paura, plasmando una realtà sempre più simile ad un bunker nascosto in un'isola in mezzo all'oceano: una realtà in cui le persone - anche quelle di potere - cercano di isolarsi l'una dall'altra. L'esclusione dell'altro, il rifiuto del confronto, la riduzione della diversità ad un inconveniente sembrano i valori fondanti su cui costruire l'illusione della propria sicurezza e del proprio potere.

Nell'intricato accumulo di tensione che porta sullo schermo, L'uomo nell'ombra accende i riflettori su lati inquietanti dello spazio del potere politico, lasciando l'amara sensazione di essere fin troppo reale.

Ma questo - per quanto paurosamente attuale, tra dittature camuffate, "infernali" costituzioni stracciate, leggi create ad hoc per poter peccare in santa pace - è un estremo della rappresentazione dello spazio politico: perché dall'altra parte brilla invece il modello di interazione ed inclusione del Sudafrica di Mandela, come in Invictus di Clint Eastwood.

Il primo leader nero del Sudafrica, con la sua storia di ferrea resistenza e la volontà di costruire una nazione pacifica, è il paradigma del dialogo e dell'inclusione: e il coinvolgimento parte dalle piccole cose, dalla palla ovale che rimbalza su un campo di rugby, dal colore di una maglia, dal rispetto per gli avversari.

É con il sudore della vita quotidiana che si stabilisce un contatto, e questa non è agiografia, ma Storia: un capitolo di Storia raccontato con eleganza e cura da un regista impegnato nel tracciare con le sue opere un percorso tra le sfumature dell'anima sociale.