sabato 31 ottobre 2009

THE SOUND OF VIOLENCE


Ha un suono costante e fastidioso, la violenza.
Come un sibilo, un alito di vento feroce sul collo.
A volte diventa tempesta, tormenta, bufera. E il sibilo si trasforma in ululato, in urlo.
Brividi lungo il corpo, a far accapponare la pelle.
A volte la violenza esplode.
E divampano le fiamme. Corpi dilaniati, umanità a brandelli. Morte.
Chi ha bisogno di tutto questo sangue?
Chi si nutre di paure e distruzione?

Chi pompa fiele nelle vene della società?

Rappresentare la violenza, raccontarla, interpretarla. È un compito difficile.

Perché di violenza ce n’è troppa, a colare giù dagli schermi dell’immaginario. La sua iper-rappresentazione la rende finta, addomesticabile, meno pericolosa. Omicidi seriali, sparatorie volanti, action movie spettacolari ed eroi guerrieri sono all’ordine del giorno, popolano le nostre televisioni e le storie che ci sparano addosso.

Cronaca nera.

Cronaca di pece e sangue.

E presentatori eccitati che annunciano nuovi massacri, attentati vigliacchi, stragi di famiglia, minacce nucleari.

Ma questo è solo lo strato superficiale, la manifestazione episodica della violenza.

La vera violenza è quella sottocutanea. Quella iniettata nelle vene. Come una droga che provoca alterazione, che uccide il pensiero critico.

È così che funziona il potere. Anche il potere politico.

Con la forza, con la violenza. Con l’illusione - troppo spesso trasformata in quasi realtà - del dominio totale, del controllo profondo. Abituare e anestetizzare farcendo l’immaginario di violenza, per poi accendere le micce esplosive dei detonatori.

Quale compito, allora, per chi vuole produrre immagini libere?

Andare a scoprire cosa si nasconde sotto lo strato apparente delle cose, scivolare sotto le pieghe della realtà, penetrare nelle stanze del potere. E illuminare, per portare alla luce, una violenza fatta sistema, pietra fondante su cui costruire un intero sistema sociale, economico e comportamentale.

Ad esempio: chi sono i veri black block saliti alla ribalta dal ’99 di Seattle in avanti? Anarchici reali o piuttosto infiltrati con la missione di scatenare la violenza per giustificare la violenza, come emerge nel film Battle in Seattle o in molti documentari post G8 di Genova? La metafora è evidente ed inquietante. È il potere, un potere crudele ed indifferente, a manovrare i fili delle tensioni sociali, degli scontri mediatici, dei roghi carnali?

E più il potere è subdolo nel suo tentativo di nascondere e confondere l’origine della violenza, più diventa pericoloso, angosciante, reprimente.

Ma qualche volta non tutto va liscio.

Qualcuno cerca ancora di vedere, senza voltare lo sguardo, senza inchinarsi in spaventate ruffianerie. Ed allora lo sguardo si fa coraggioso e lacerante, spesso difficile da sopportare, ma inevitabile.

Forse qualcosa è cambiato, qualcosa sta cambiando.

Il Divo - film coraggioso che cerca di risalire in alto, nella scala gerarchica dei mandanti di omicidi mafiosi - ha forse il limite di incarnare l’intelligenza del Male in un’unica persona, Andreotti.

Gomorra cerca invece di affondare il bisturi dentro il tessuto sociale, penetrando anche nel popolo, dove la mafia trova seguaci e proseliti senza significative alternative.

Ma di violenza ce n’è troppa, nell’etere. Iper-rappresentata e glorificata, come nelle fiction anestetizzanti su Falcone e Borsellino e su Totò Riina e i casalesi, come in Barbarossa, assurda operazione di stampo leghista che diventa quasi una pornografia della violenza.

E allora il rischio è che un agghiacciante filmato registrato di nascosto, in cui si assiste all’omicidio a sangue freddo di un uomo in pieno giorno, nel centro di Napoli, non provochi abbastanza rabbia ed indignazione, forse confuso tra fiction e realtà.

Cosa possiamo fare, come possiamo combattere un potere che si nutre di noi violentandoci?

Uno sguardo critico e intelligente, un occhio lucido e una mano non-violenta sono ingredienti essenziali per non cedere ai ricatti del sistema. E anzi metterlo in crisi, combattendolo non con le sue stesse armi, ma cercando di svelare il più possibile quali intrecci si nascondono sotto le dinamiche che muovono la società.

Un modo per non rimanere con le ali crocefisse a terra, e tornare a volare.