giovedì 30 aprile 2009

IL FIORE E LA FARFALLA


La scossa aveva fatto crollare tutto.
C’erano macerie ovunque, attorno. E addosso. Come polvere di sabbia radioattiva.
Il paese di cristallo e cartapesta sembrava scomparso, inghiottito da una terra ribelle.
“Forse ho scelto la notte e il posto peggiori, per nascere”, pensava tra sé il piccolo fiore appena germogliato.
Dalle viscere della terra, in quel parto travagliato e tellurico, era affiorato accanto ad un cumulo di calcinacci, travi di legno, lastre di cemento.
Avrebbe voluto avere le ali, per volare in un bosco, sulle rive di un fiume.
Ma era fatto di petali.

Dall’altra parte della notte, una farfalla tentava di spiccare il primo volo.
Le ali, fragili e incerte, erano appesantite dall’umidità dell’aria: nuvole grigie ed elettriche non lasciavano presagire a nulla di buono.
“Forse avrei dovuto nascere sotto un cielo trapuntato di angeli e stelle”, pensava la farfalla mentre frullava le ali veloci per farle decollare.
Il primo salto fu intenso e breve. Ricadde sul prato, ai limiti di una piccola pozzanghera.
Il cielo perlaceo di nuvole e fulmini era ancora lì ad aspettarla, ma lei non poteva più rimandare l’appuntamento con il sogno.

Polvere. Grani e sassi.
E una sete che lo consumava dentro. Ma il cielo era terso, e di nuvole gonfie di manna non c’era nemmeno l’ombra.
“Ti prego non salire, con la tua calda luce assassina”, era la lancinante preghiera che il piccolo fiore stava lanciando al sole. Preghiera disperata, perché il sole non può ascoltare nessuno, è scritto nei raggi del suo destino. E anche quel giorno l’astro solare si alzò alto nel cielo, scaricando dardi infuocati che resero la terra ancora più arida.
Le radici secche. Il bisogno di una goccia d’acqua… Era un’agonia, per il delicato fiore cresciuto durante il terremoto. Sentiva che tra poco sarebbe ritornato alla terra, inghiottito senza aver potuto schiudersi e colorare il mondo con il suo profumo.
Uno scricchiolio, poi all’improvviso il crollo di un calcinaccio.
Fu quasi un miracolo se il fiore non venne schiacciato. Dopo averlo scheggiato e ferito ad un petalo, quel pezzo di muro crollato gli faceva ora un po’ d’ombra.

Vertigini. La farfalla aveva scoperto di avere le vertigini, disegnando traiettorie incerte nel cielo plumbeo.
Ma stringeva i denti, provando a volare senza guardare all’indietro.
Le prime gocce di pioggia la ferirono. Erano pesanti, per le sue ali tenere. Ma furono i chicchi di grandine a scaraventarla al suolo.
Poi, un vento gentile spazzò via le nuvole grondanti di fulmini e lacrime. Sfiorò le ali della farfalla, e la spinse a librarsi di nuovo in volo, lenta e ferita, ma con la voglia di lottare.

L’universo si fermò in quel gesto magico.
La piccola farfalla, venuta da chissà dove, si posò sui petali del fiore assetato.
L’abbraccio fu così intenso che anche il sole sorrise e impallidì, colpito dalla meraviglia di quella luce.
Nel cuore di quei petali, la farfalla trovò cura a calore. Le sue ali, cariche di rugiada, furono per il fiore nutrimento di vita.
E volarono via insieme, come una farfalla dalle ali di fiore.