martedì 30 dicembre 2008

UNA, NESSUNA, CENTOMILA VERITA'

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Un boato sordo, come un terremoto.

Esplosioni di bombe in differita piombano dal televisore: una pioggia di missili su Gaza.

Bagliori in lontananza, dichiarazioni ufficiali, commenti politici si inseguono e si confondono, evitando di incunearsi nelle pieghe della realtà.

Quante morti incidentali ci saranno state? 290? Quanti civili inermi massacrati dalla vigliaccheria di un missile sbagliato?

La brace del Medio Oriente si infiamma nuovamente, e divampa in un incendio pericoloso per la coscienza dell’occidente. Da che parte sta la verità, se ce n'è una?

Non è nell'arroganza di chi crede di poter governare i destini del mondo.

Non è nel fanatismo che scatena l'odio.

Non è nella volontà di vendetta che scatena una spirale di cieca violenza.

Forse, davvero, non c'è Nessuna verità. Come recita il titolo dell'ultimo film di Ridley Scott.

Un film che gioca sulla paura globale del terrorismo, per costruire un action movie che si snoda tra le sabbie del deserto mediorientale e i satelliti guidati da Washington.

Le cellule terroristiche sembrano proliferare ovunque: nelle periferie delle grandi metropoli, tra le cattedrali del deserto, sui tavolini di un covo disperso nel nulla.

Ma anche nel film di Ridley Scott - così come succede in molte altre pellicole contemporanee, da Iron man a Leoni per agnelli - il terrorismo non è il vero soggetto su cui puntare i riflettori per accendere una riflessione: piuttosto è usato come un mac guffin, come sfondo, come elemento puramente strumentale della narrazione.

Certo, gli spunti potenzialmente interessanti non mancano. Qualche esempio?

- La proliferazione dei punti di vista: dall’alto dei satelliti, appesi ad un filo. O tra il polverone del deserto che disorienta anche le tecnologie più potenti. Il verticale e l’obliquo che si fondono nelle visioni dei protagonisti e nell’occhio della macchina da presa.

- La penetrazione profonda della tecnologia di controllo nel territorio nemico, con satelliti ad alta precisione in costante monitoraggio.

- L’ipocrita collaborazionismo tra i servizi segreti di diversi Paesi, in lotta per chissà quale schiacciante vittoria.

- La costruzione di un dedalo di bugie e pregiudizi difficili da abbattere, da una parte e dall’altra, su cui si fondano stereotipi comportamentali e di pensiero politico.

Ma Nessuna verità non affonda gli artigli in una riflessione profonda sulle delicate questioni dei rapporti diplomatici, né sull’ontogenesi del fenomeno del terrore globale.

Perché allora soffiare sul fuoco che alimenta le paure?

In quanto metamedium, il terrorismo si nutre anche di tutti quei prodotti culturali che fanno leva sulla spettacolarizzazione delle ansie planetarie, delle nevrosi, degli incubi in cui precipita la gente comune.

E non fa ancora più paura una guerra combattuta come se fosse un videogame?

Non una guerra a cui si possa porre fine con un risoluto atto democratico di confronto e dialogo, un atto concreto e reale. Ma una guerra combattuta da e tra individui, singoli, egoisti ed egocentrici, scollegati da qualsiasi legame con il tessuto sociale reale: una guerra di avatar che si danno battaglia su un territorio che non ha più confini, né fisici (le aride terre mediorientali o le città europee) né massmediatici, tanto che si può fingere una strage per suscitare l’invidia di cellule terroriste e portarle così a commettere dei passi falsi. Ma la finzione è inghiottita dalla realtà, e il cortocircuito fa saltare qualsiasi banale distinzione tra innocenza e colpevolezza. Semplice danno collaterale, frutto di una visione eccessivamente spettacolarizzata ed individualista della realtà sociale?

Ci vorrebbe più coraggio, anche nel cinema, per affrontare temi delicati come il terrorismo ed evitare di annebbiarli con le polveri sollevate dagli elicotteri di una visione distorta della guerra.