martedì 30 settembre 2008

SCIMMIE IN GABBIA

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La verità è un rombo di tuono in lontananza: un rumore sordo, confuso, minaccioso.
Il cielo plumbeo di Istanbul fa paura.
Neanche la correzione digitale del colore riesce a sfumare le grida invisibili dei fantasmi, che si annidano negli anfratti più tenebrosi del cuore.
Occhi che sanguinano lacrime trattenute.
E di fronte, fin oltre l’orizzonte, un mare grigio perla. Muto. Rassicurante nel suo silenzio.
Non parlare. Non guardare. Non ascoltare.
Le tre scimmie – titolo del film firmato dal regista turco Nuri Blige Ceylan – danzano in un macabro rituale di quotidiana disgregazione familiare.
Luci e ombre scavano sulla superficie di corpi feriti, scivolano dentro l’anima, come freddo nelle ossa, fino a marchiarla d’odio.
Il rifiuto della realtà è totale.
La percezione delle dinamiche umane risulta alterata, come disturbata da frequenze malsane. Rumori.
Gocce d’acqua che cadono. Porte che scricchiolano e sbattono. Treni in corsa in mezzo al nulla.
Piccoli suoni, che accentuano un silenzio profondo e marcio.
Come in un lentissimo videoclip, fatto di sibili, tonfi, cigolii, attorno a cui ruotano parole svuotate di ogni senso e pretesa di profondità.
Anche le immagini restano in attesa, come un cielo grigio, ad aspettare l’arrivo del temporale che spazzerà via tutto.
Rumori liquidi lo annunciano.
E nella liquidità di un primissimo piano, un dettaglio su occhi affogati dal sudore, sta racchiusa l’inconsistenza umana.
Lei è in bilico sul cornicione.
Lui la vede, di nascosto. E rimane immobile.
In quello sguardo sciolto nella vigliaccheria, che guarda senza agire, che si decompone nella violenza dell’indifferenza, si nasconde tutto ciò contro cui vale la pena lottare.
Per restituire un significato alle parole e ai silenzi.
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