venerdì 11 aprile 2008

"RIPRENDIMI" RISCRIVIMI RE-INVENTAMI


La spia è accesa.
La videocamera è in modalità REC: l’occhio meccanico è in scena e cattura istanti di “realtà”, vita vissuta che sarebbe comunque accaduta. Forse.
“Riprendimi” è il titolo del film di Anna Negri. Riprendimi, cattura la mia immagine, trasformala in narrazione. Riprendimi, conquistami ancora, fai crollare quel muro di silenzio che abbiamo creato.
“Riprendimi”: una storia dove l’amore e il processo di produzione di immagini si intrecciano, si confrontano, in un dialogo profondo e lieve, ironico e intenso.
Realtà e finzione diventano indistinguibili: due documentaristi seguono – quasi 24 ore su 24 – la vita di una coppia di lavoratori precari dello spettacolo. Lui attore teatrale costretto a vendersi alla televisione, lei montatrice e appassionata ricamatrice di storie: come possono far crescere degnamente il loro piccolo figlio in un mondo così precario?
Ma la storia esce dai binari previsti. Scarta dall’idea originaria, e si trasforma in un crudele spaccato di dolore e separazione, di disillusioni e tradimenti.
Come trovare un senso a quelle nuove immagini? Ce l’hanno un loro significato implicito e incorporato, o il loro senso si può costruire soltanto a partire dall’angolazione dello sguardo con cui le si coglie?
È una domanda ricorrente che travolge in un vortice di dubbi i due documentaristi.
Ma le loro macchine da presa non sono semplici presenze: l’occhio di vetro diventa un vero e proprio personaggio, costantemente in scena e rappresentato.
Gli sguardi soggettivi delle videocamere digitali – sia quelle in scena che quelle nascoste - si fondono in una pluralità di punti di vista e in una molteplicità di emozioni che sfumano una nell’altra.
E il rapporto tra l’amore e l’immagine si arricchisce di nuovi capitoli.
Come dice Lucia, la protagonista, l’amore è ciò che viene dopo l’innamoramento, dopo la passione, quando il desiderio lentamente si sfalda e diventa meno ossessivo e dominante: lì scatta l’impegno, la costanza, la pazienza, e forse anche la passione più autentica.
Innamorarsi di una storia e saperla amare anche quando si rivela inaspettata e spiazzante: è l’unico modo per poterla catturare e raccontare anche attraverso le immagini.
Forse le immagini in sé non significano tanto, pura apparenza bidimensionale. La storia di Lucia e del suo dolore potrebbe essere una storia come tante, già vista al cinema, già letta nei libri. Ma non lo è per Eros, il documentarista: perché nei suoi occhi, nel suo modo di cogliere e riprodurre quella storia, scorre il fuoco di un amore viscerale e segreto. Come avvolto in una soffice nuvola, il cuore e il senso della storia sono dentro i suoi occhi innamorati.
Così, i dubbi sul senso del documentario che sta prendendo forma sono in realtà molto più radicali e investono la propria capacità di amare: il centro della riflessione si sposta sul proprio modo di essere e vivere.
Riprendimi, riscrivimi, re-inventami.
La produzione di immagini e storie capaci di toccare in profondità le corde del senso – in quest’epoca liquida e satura di insignificanza – richiede gli stessi ingredienti dell’amore?